Il Museo delle Arti in Ghisa nella MAremma

Da Follonica con amore. Un omaggio alla fonderia di Follonica e al museo Magma dal libro “L’ora d’arte” di Tomaso Montanari.



Nel suo ultimo testo, un autentico inno all’ora d’arte, che in tanti vorrebbero cancellare dai programmi scolastici, Montanari ci racconta il fondamentale ruolo civile che, oggi più che mai, la bellezza è chiamata a ricoprire.
Dalle mura etrusche agli street artist contemporanei, passando per Michelangelo, Raffaello, Goya e Picasso, il noto storico d’arte parla anche dei pilastri in ghisa provenienti da Follonica e oggi situati in piazza del Duomo a Firenze.
Immersi fra innumerevoli capolavori, i pilastri follonichesi ci ricordano che la storia dell’arte non è un manuale di grandi nomi che dobbiamo venerare ‘perché si’, ma l’impasto delle nostre vite quotidiane che ci insegna a guardarci intorno per diventare cittadini, per imparare un alfabeto di conoscenze ed emozioni, per abitare questo nostro mondo restando umani.

“è proprio bello, questo pilastrino, questa colonnina tortile: e non oso pensare che si farebbe oggi, quando le città si riempiono di oscene fioriere di cemento, e di tutta quella roba orrenda che usurpa il nome di ‘arredo urbano’: invece, qua che eleganza, che misura, che capacità di dialogare con le forme gotiche del Duomo stesso: a partire dalle colonnine egualmente tortili che affiancano la Porta dei Cornacchini, e le grandi bifore slanciate.
Ma chi, e quando, creò il nostro bel balaustro?
Una scritta sulla base, a metà fra il marchio commerciale e iscrizione solenne, ci informa: ‘Imperiale e Reale Fonderia di Follonica. Anno 1836’.
[…] Leopoldo aveva impiantato a Follonica una cittadella della ghisa, il cui cuore pulsante (il Forno di San Ferdinando) ospita oggi il magnifico Magma, il Museo delle Arti in Ghisa della Maremma, che racconta questa storia d’arte e di lavoro.
Leopoldo stesso annota con soddisfazione, il 16 aprile 1836, che ‘eran già fusi il cancelletto per il Duomo, colli pilastrini e colonne a spirale’, insieme a tanti altri oggetti per Livorno, Grosseto e per tutto il granducato.
Quante volte mi ci sarò appoggiato, fin da bambino.
Eppure, non li avevo mai guardati con attenzione, questi pilastrini: frutti preziosi del momento in cui la storia dell’arte dava la mano all’industria, e la città moderna prendeva forma. Con amore”