Il Museo delle Arti in Ghisa nella MAremma

Incontro con Leonardo Rombai

fotoTORRI E FORTEZZE DELLA COSTA TIRRENICA. STORIA E BENI CULTURALI, INCONTRO AL MAGMA CON IL PROF. LEONARDO ROMBAI

di Silvia Trovato
foto di Nicolo’ Orsi Battaglini

Storie di torri e fortezze della costa tirrenica e di percorsi archeologici sono state al centro di uno degli incontri promossi nella collaborazione tra Irta Leonardo (Istituto di Ricerca su Territorio e Ambiente) e Magma. L’incontro ha portato al Magma gli studiosi Leonardo Rombai, Anna Guarducci e Marco Piccardi che hanno presentato il loro lavoro “Torri e fortezze della costa tirrenica. Storia e beni culturali”. Il Prof. Leonardo Rombai ci ha illustrato i particolari di questo lavoro condiviso con gli altri studiosi, che ha portato a intrecciare storia e ambiente, tutela dei beni culturali e memoria del territorio, una memoria in cui il mare con le sue fortezze, conserva una storia antica.

“Torri e fortezze della costa tirrenica. Storia e beni culturali”: come è nato questo progetto? Potrebbe raccontarci la sua ideazione e del viaggio che racconta?
Fin dal 1979-80, studiando da geografo storico la Maremma e il suo litorale, per tanti secoli malarico, pressoché spopolato e abbandonato dal potere statale e dalla grande proprietà fondiaria all’arretrata economia di latifondo, almeno fino alle innovative riforme lorenesi e addirittura fino ai decenni della “rivoluzione industriale” otto-novecentesca, mi sono appassionato allo studio dei rari ma significativi elementi che conferiscono compiuta identità storico-culturale al paesaggio e al territorio maremmano. Tra questi elementi faccio in particolare riferimento agli insediamenti, soprattutto quelli esterni alla rada rete dei castelli e dei centri murati, legati all’organizzazione produttiva, soprattutto l’arcaico sistema agro-silvo-pastorale e poi la graduale introduzione della mezzadria poderale, ma anche la proto-industria tradizionale, dai mulini quasi sempre a forza idraulica – talora a forza eolica – agli opifici correlati alla lavorazione del ferro e alla manifattura del sale e, appunto, al controllo militare/fiscale/sanitario del territorio: centri fortificati, torri e forti isolati, dogane. Altro elemento di ricerca riguarda i manufatti e corpi idrici (pescaie e calloni, canali artificiali e idrovie e i pochi bagni termali e pozzi-acquedotti) che caratterizzano gli interventi umani sui corsi d’acqua e specialmente sulle zone umide.

L’attenzione rivolta, già negli anni ’80, insieme a colleghi e amici come Danilo Barsanti, Dino Bravieri, Enrico Coppi e Maurizio De Vita, specificamente alle fortificazioni, vere e proprie “sentinelle di pietra” in litorali quasi privi di popolazione residente, si giustifica con la speciale attenzione prestata dal potere statale a tali strutture, e quindi con la ricchezza delle fonti documentarie scritte e cartografiche-iconografiche, per altro assai disperse, per essere conservate in molti archivi e biblioteche della Toscana, di altre parti d’Italia e persino di paesi stranieri.

È stato però il coinvolgimento negli anni Duemila, insieme con i più giovani colleghi Anna Guarducci e Marco Piccardi, in due progetti europei di tipo sociale (Progetto PERLA), finalizzati alla conoscenza e fruizione consapevole delle costiere mediterranee, anche a fini di turismo, che ha offerto l’occasione decisiva per riprendere la ricerca, con suo ampliamento e approfondimento e pubblicazione infine del libro.

Il libro che è basato non soltanto sulla documentazione storica ma anche sulla ricerca diretta sul terreno per osservare le architetture (e per ricercare le tracce murarie e i siti delle non poche scomparse per varie ragioni) e per raccogliere testimonianze orali o ulteriori documenti sulle medesime: si è trattato di un vero e proprio viaggio, non di rado di esplorazione e scoperta, nella costa continentale e nelle isole, fatto tra difficoltà dagli autori in compagnia di Nicolò Orsi Battaglini, cui si devono le fotografie attuali.

Potrebbe condividere con noi dei frammenti del viaggio storico che riguarda in particolare la Torre di Follonica per ricostruire un racconto di questi luoghi?
Allargherei l’attenzione al vero e proprio sistema di strutture fortificate e di avvistamento e controllo militare, doganale e sanitario del territorio costiero piombinese, poste in allineamento visivo anche con altre strutture: il centro di Piombino, le torri di Civette, Barbiere e Troia di Punta Ala. Si tratta di un sistema creato dallo Stato Piombinese fra i tempi tardo-medievali e i tempi moderni: intorno alla metà del Cinquecento Torre Mozza e Torre di Follonica, intorno alla metà del Settecento i Posti militari e doganali del Puntone di Scarlino e di Portiglioni. Il sistema venne mantenuto efficiente e addirittura fu potenziato dopo il passaggio del Principato al Granducato lorenese negli anni della Restaurazione (quando venne costruita la Dogana di Follonica), a tutto vantaggio della difesa sia del Golfo e dei suoi piccoli scali aperti in spiaggia sabbiosa e sia dei centri abitati di Piombino e Scarlino, ma soprattutto a servizio e protezione degli stabilimenti siderurgici statali di Cornia di Suvereto e di Follonica, che presero vita tra la metà e la seconda metà del Cinquecento.

La Torre a controllo dello scalo di Follonica esisteva già nel 1575, allorché tra Principato di Piombino e Granducato si arrivò ad un accordo per la creazione di un “corridoio” a giurisdizione mista, con inizio dal mare e innesto nel confine con il territorio di Massa Marittima. Probabilmente la torre era stata eretta – con quella Mozza – poco prima la metà del XVI secolo, allorché gli Appiano aggiunsero al mulino da grano, già esistente nel 1511, l’impianto della ferriera (1546-48).

Nel 1734 il castellano di Follonica informa il governo del Principato sull’armamento presente nella torre, definita per altro “un casotto“, ovvero due spingarde e due mortaretti con polvere e palle. Nel 1794 era ancora armata. Nei primi anni ’20 dell’Ottocento, la “Torre” compare nella mappa catastale e nella carta manoscritta del Granducato costruita alla scala di 1:100.000 da Giovanni Inghirami, in vicinanza del mare e nella stessa area dove pochi anni dopo verrà costruita la dogana, in corrispondenza dello sbocco a mare dell’antico tracciato che da Valle scendeva a Follonica.
Trattandosi di una costruzione ormai in rovina e inadatta ad ospitare i doganieri e il picchetto militare, già alla metà degli anni ’20 la spiaggia “era difesa da una Batteria di terra” e il presidio era precariamente alloggiato in due case distanti da essa. Quindi, su progetto di Alessandro Manetti, nel 1826 si previde la costruzione della dogana (esecuzione di progetti della Regia Segreteria di Finanze), in posizione più centrale della torre in rapporto allo scalo e ai magazzini del ferro: tra il 1826 e il 1831 venne costruita la grande dogana con annessa nuova batteria nel fronte a mare e con conseguente graduale abbandono della vecchia che però nel 1831 e nel 1832 era ancora attiva e disponeva di “un solo pezzo da sei” ed era posta in un territorio considerato insalubre per la malaria che si sprigionava dal vicino padule di Scarlino.

Nonostante progetti di potenziamento della batteria a protezione del pontile e dello scalo (disegni fatti nel 1839 dal tenente di artiglieria Mellini), lo sviluppo dello stabilimento siderurgico statale, con l’esigenza di costruire allo scalo di marina magazzini e recinti per il minerale ferroso e i prodotti di ferro, portò presto all’eliminazione della batteria e alla soppressione del presidio militare. “Ciò che rimaneva dell’antica torre fu disarmato, probabilmente nel 1851-52, passando in proprietà alle Regie Possessioni. Nel 1902 fu completamente demolita ed al suo posto fu edificata la piccola stazione della linea ferroviaria Massa Marittima-Follonica, tuttora esistente. Oggi la stazioncina è destinata ad uso privato, circondata da un giardinetto con pini di alto fusto, ma è sempre identificabile la sua strategica posizione in perfetta linea visiva con Torre Mozza, Civette, Barbiere e Forte della Troia sulla Punta Ala”.

Perché è importante conoscere la storia di questi luoghi e di questi beni culturali, qual è la testimonianza di queste sentinelle di pietra?
In tempi scanditi dalle “buone” normative europee e nazionali volte alla partecipazione civica e allo sviluppo sostenibile con speciale riguardo per il governo del paesaggio e dei beni culturali, è quasi superfluo sottolineare l’importanza, e anzi la necessità, di conoscere in profondità ciò che resta, oggi, di questo patrimonio di architetture, purtroppo decontestualizzato e ignorato dal grande pubblico che vive a Follonica o che frequenta la cittadina per turismo ed altro.

La Torre di Follonica è stata demolita e il suo sito è occupato dall’edificio della stazione della ferrovia Follonica-Massa Marittima dell’inizio del Novecento. Le altre antiche testimonianze architettoniche demaniali, ricche di storia, sono però ben poco considerate dagli amministratori e dai proprietari, dai cittadini e dai turisti: anche perché, in tempi a noi vicini, con la loro cessione a privati, hanno purtroppo perduto lo status di beni comuni – l’unica eccezione è costituita dalla Dogana di Follonica, ancora di proprietà statale e appropriatamente utilizzata – e versano in condizioni di abbandono e rovina (è il caso di Torre del Sale e Portiglioni) o sono state di recente riconvertite, senza particolare attenzione per gli interventi di recupero, a funzioni esclusive di tipo turistico-residenziale (come Torre Mozza e Puntone di Scarlino).