Il Museo delle Arti in Ghisa nella MAremma

Incontro con Alberto Prunetti

fotoPERIFERIE PERMANENTI – INCONTRO CON LO SCRITTORE ALBERTO PRUNETTI ALLA PINACOTECA DI FOLLONICA
di Silvia Trovato
foto di Filippo Pieri
Lo scrittore Alberto Prunetti è stato uno degli ospiti della pinacoteca di Follonica all’interno delle iniziative organizzate da “Milano 64” – Ferruccio Malandrini. Fotografo a Milano. In occasione del ciclo di incontri “Dialoghi sulla città” Alberto Prunetti ha approfondito con i presenti il tema del lavoro culturale e migrante in un incontro intitolato “Periferie permanenti. L’eredità di Luciano Bianciardi e le traiettorie esistenziali del lavoro culturale nella nuova emigrazione italiana”. Abbiamo incontrato Alberto poco prima dell’incontro per approfondire il percorso di questo viaggio migrante che ci lega alla riflessione su Luciano Bianciardi, alle condizioni del lavoro culturale e del lavoro in generale, interrogandoci sul senso di questa parola.

«Il movimento dalla provincia verso la metropoli di Bianciardi è una migrazione culturale che si realizza in un momento di espansione del capitalismo italiano mentre le migrazioni di oggi partono per la contrazioni economiche, sono fughe dalla difficoltà alla ricerca di un lavoro soddisfacente – racconta Alberto Prunetti- Bianciardi si è spostato sulla cresta dell’onda del boom economico, ed è naufragato dal punto di vista professionale ed esistenziale scoprendo l’altra faccia del boom che ha raccontato con le sue opere. Il suo è un percorso che finisce in un fallimento: è uno dei primi arruolati da Feltrinelli ed è uno dei primi che viene licenziato, esternalizzato, delocalizzato a casa come traduttore».

Alberto Prunetti ha tanti viaggi e tanti lavori attaccati addosso: è uno scrittore, un giornalista, un traduttore, ha fatto l’insegnante a Mumbai, ha lavorato nelle pizzerie italiane di Londra aperte dai turchi « “Dalle indagini di mercato ci risulta che queste lasagne che fate in Italia si vendano bene”, mi dicevano, e io lì facevo il “vero” cameriere italiano anche se ogni membro della famiglia, chi veniva da Istanbul, chi da Cipro, la sera per lavorare nella vera pizzeria italiana, si travestiva da italiano». Un fil rouge che lega la vita di Prunetti a quella di Luciano Bianciardi, lo scrittore che emigrato a Milano, con le scene dei minatori di Ribolla saltati in aria nelle viscere delle miniere ancora negli occhi, si era messo in testa di far saltare in aria il “Torracchione”, il simbolo del potere. Il mondo del boom economico degli anni Sessanta, della frenesia milanese produttiva, Bianciardi lo riesce già a vedere con una prospettiva che dal sogno, si sposta all’incubo, un tratto espressionista nello sguardo, abrasivo, sarcastico, bruciante.

«Ho riflettuto su certe bizzarre sovrapposizioni per cui mi sono ritrovato a calcare percorsi ritrovandomi a fare lo stesso lavoro di Bianciardi, come nel caso del lavoro del traduttore, uno di quelli per cui è tornata la retribuzione a cottimo ma a livello immateriale. Prima ti pagavano a cottimo se andavi a raccogliere olive, ora ti pagano a cottimo sommando byte, un tot di battute, un tot di paga -prosegue Alberto Prunetti- Una situazione che è diventata standard nel panorama dell’industria editoriale italiana ed è un tipo di standardizzazione che ha dato una nuova narrativa al lavoro, raccontata da molti giovani autori. Bianciardi si interroga sul proprio destino di lavoratore intellettuale, incrociandosi con i minatori, i braccianti, i nuovi operai meridionali incontrati a Milano, che non sono quelli dell’aristocrazia operaia, ma gli operai “massa” che saranno protagonisti dei cicli di lotte degli anni Sessanta e Settanta».

I percorsi di migrazione, la trasformazione del mondo del lavoro, secondo Alberto Prunetti legano fortemente Bianciardi anche alla riflessione sul presente in un mondo in cui i tempi del lavoro e dell’esistenza hanno subito una potente accelerazione, con conseguenteframmentarietà umana e sociale, come fossimo, se non lo siamo a tutti gli effetti, costantemente dispersi su un treno ad alta velocità intercontinentale. «L’alienazione a volte viene dipinta come frutto di una scelta, come un’evoluzione del neocapitalismo quando, per citare il nostro Bianciardi, è solo l’ennesima vita agra, l’incubo dietro al sogno che ci è stato venduto, dietro alla flessibilità, alla molteplicità, la fine della società industriale, al telelavoro, abbiamo ritrovato il cottimo, l’immigrazione, abbiamo perso i contratti nazionali e quelli rimasti sono diversi per tutti; abbiamo perso i diritti comuni, lo scenario è saltato con scelte politiche ultraliberiste e il risultato è nella frammentazione dei lavoratori. Bianciardi aveva nostalgia di un mondo del lavoro che stava già scomparendo e quel mondo adesso non c’è più ma siamo noi che dobbiamo inventarne uno nuovo: un Quinto Stato, una nuova classe composta dai figli di quella vecchia classe operaia che magari oggi lavorano in quell’indusria culturale. I lavoretti che dovevano servire a costruire il lavoro “vero”, sono diventati il lavoro di una vita. Viviamo di lavoretti».

Dalle periferie urbane alle migrazioni, ci spostiamo sull’Ombrone con il pensiero «Tu quando emigri lo fai con i piedi e non solo con il cervello e anche l’arte la fai con i piedi, con le gambe, l’idea della migrazione la associo a questa citazione bianciardiana “La negritudine comincia dall’Ombrone”, una citazione fantastica dove lui nel romanzo si sogna negro e vittima della violenza e dell’esclusione dei bianchi. La migrazione, se ci aggiungi l’aggettivo “culturale”, non è migliore, in realtà l’umanità è in un esodo continuo e siamo tutti parte di un unico meccanismo migratorio: se sei un migrante sarai sempre il Sud di qualcun altro, per cui è difendendo i migranti che arrivano dalla Siria che difendiamo tutti i migranti, c’è solo un modo per salvarci tutti, ed è collettivamente, se lavoriamo sui privilegi, sulle dittature delle eccellenze dell’isolamento, facciamo un gioco che ci si ritorcerà contro».